Piero dei Lugari

Piero ha vissuto tutta la vita in montagna. Anche quando ormai vecchio si è dovuto adattare alla vita di pianura, appena il disgelo lo permetteva, si faceva accompagnare lassù sul suo Grappa.

Conobbi Piero un po’ per caso, ero alla ricerca di storie di uomini e montagna e il suo nome ritornava spesso, così un bel giorno mi feci coraggio e mi avventurai nel suo giardino. Piero era seduto come tutti i giorni sulla sua vecchia sedia ad osservare la strada che porta alla Campeja.

“Giorno Piero!”

Nessuna risposta. Ripeto il saluto, convinto di non essere stato sentito ma nulla. Poi un cenno e due parole:

“Siediti qui bocia

Piero mi indicò una vecchia sedia impagliata proprio di fronte a lui. Quella era la sedia degli ospiti, amici e conoscenti passavano a salutarlo così spesso che trovarla “fredda” era un’occasione assai rara.

Mi accomodo e appena tocco la sedia sembra che questa sia l’interruttore per accendere Piero che inizia subito a chiacchierare, non prima di aver fatto una doverosa e fondamentale premessa:

“Bocia, spero tu abbia buona memoria perché io non ripeto!”

Inizia così il suo racconto che parte dal 1925.

“Ricordo mio padre e mia madre alla finestra. Quell’inverno era stato più nevoso del solito e non capitava spesso di vedere persone lassù da noi, con le auto poi!

Ad un certo punto vedo mio padre precipitarsi verso l’uscio della porta ed uscire. All’epoca avevo cinque anni, ma ricordo bene la folata di vento gelido quando babbo spalancò la porta e si trovò davanti il generale Giardino in persona:

“buondì buon uomo, le chiedo cortesemente un riparo per me e per questi uomini, abbiamo di che discutere di cose estremamente importanti”

Mio padre non aveva neppure il fiato per rispondere tanto era la meraviglia. Giardino allora era una figura leggendaria, per un povero montanaro, trovarselo d’improvviso davanti fu quantomeno sconcertante.

L’unica cosa che riuscì a fare fu scostarsi e con un inchino lasciar passare il piccolo gruppo verso il tinello buono. Ripresosi, ordinò a mia madre di mettere sul fuoco la minestra per rifocillare gli ospiti, indossò il tabarro e uscì verso la cantina per prendere quel poco di vino che aveva da parte per offrirlo ai suoi importanti ospiti.

Il generale era una persona estremamente cordiale, seppi poi che con lui c’erano il generale Ettore Viola, il rettore di Pavia Plinio Fraccaro, il podestà di Bassano e diversi altri ufficiali e funzionari.

Io ero piccolo e curioso e mi infilai sotto al grande tavolone di peccio. Volevo ascoltare i discorsi dei grandi.

Fu una lunga e animata discussione, il tema era il sacrario del Grappa. C’era chi non aveva alcun dubbio: doveva essere fatto assolutamente sulla cima, altri invece insistevano sul fatto che la cima era irraggiungibile per troppi mesi a causa delle nevicate e che quindi, il posto più adatto era proprio questo; Busa de Campeja.

La discussione si animava sempre di più senza che nessuno ne venisse a capo, poi all’improvviso un bell’uomo alto e forte picchiò il pugno sul tavolo così forte da mettere tutti a tacere:

“Signori, quella lassù è la cima che abbiamo difeso ed è lassù che i nostri compagni vorrebbero riposare in eterno. Sarà nostro dovere rendere sacra la cima e onore al ricordo”

Dopo qualche secondo di silenzio, Giardino riprese la parola e confermò:

“e così sia, alla salute”

Tutti alzarono al cielo i loro bicchieri, era deciso. Il sacrario si sarebbe costruito a cima Grappa.

Quel signore era Ettore Viole, il re lo considerò la più bella medaglia d’oro della Grande Guerra, ma questa sarà la prossima storia. Morì a Roma nel 1986 e fu sepolto a cima Grappa. L’unico che non è morto in guerra ad aver avuto questo onore dopo il generale Giardino.

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