La febbre di Viola

Giusto un secolo fa, anno più anno meno, il mondo fu letteralmente messo in ginocchio da una delle più terribili pandemie di sempre: l’influenza spagnola o febbre spagnola.

Non preoccupatevi amici, non è mia intenzione creare ulteriori malumori o peggio rivangare nel fango torbido della storia per dire frasi scontate come: “allora non impariamo mai” o “ogni cento anni arriva un’epidemia” né tanto meno incolpare i poveri Maya o Nostradamus o chissà chi.

La mia intenzione è di raccontarvi una storia di guarigione e di rinascita.

Siamo nel 1918.
Nonostante la Spagna neutrale avesse più e più volte annunciato che l’influenza stagionale comparsa quell’anno, non fosse una semplice influenza, le potenze mondiali in un momento cruciale e decisivo del conflitto non ascoltavano nessuno, tanto meno un paese neutrale.

Troppo tardi si accorsero che il famigerato sottotipo H1N1 (va di gran moda darsi importanza usando le classificazioni mediche e il vostro narratore non vuole essere da meno) beh, quel maledetto virus, si dimostrava particolarmente letale e che, per ironia della sorte colpiva soprattutto i poveri eroi di guerra, ragazzi poco più che maggiorenni.

Continua...

La “Spagnola” fu l’influenza della beffa: Uccise più della guerra, trascurò i vecchi e colpì i giovani e soprattutto tutti la ricorderanno con il nome dell’unica nazione che ne dichiarò da subito la pericolosità!

Sul finire della guerra, ci fu un eroe, un uomo che non manca mai nelle mie narrazioni che venne colpito dalla terribile pandemia, il suo nome era Ettore Viola.
Il giovane capitano degli arditi, con un palmares di medaglie da far invidia a chiunque, proprio poche settimane prima di rientrare a casa, si ammalò dell’influenza Spagnola. Un ardito del suo calibro, non si fece di certo intimorire da un po' di febbre (giusto per capirci: all’epoca si parlava di febbre dai 39 in su, prima era “malessere”) e continuò impavido la sua vita di guerra. Certo, al giorno d’oggi sarebbe stato considerato reo di pandemia colposa, ma all’epoca, “non marcare visita” fino allo stremo era una delle tante prove di coraggio.

Ad un certo punto però il fisico, seppur giovane e atletico dell’eroico ardito crollò, Viola svenne a causa del febbrone esagerato e venne ricoverato in ospedale.
Nel giro di pochi giorni, le sue condizioni di salute, estremamente trascurate e indebolite dalla vita di trincea, si aggravarono. Viola fu trasferito nel reparto dei gravissimi e aiutato a respirare con l’ossigeno. Nonostante i disperati tentativi dei medici di salvargli la vita, Il bel graduato era ad un passo dalla morte.

La notizia corse veloce e i soldati particolarmente affezionati al loro capitano, cercarono in tutti i modi di capire le reali condizioni di salute di Viola. Si sa, gli arditi sono…arditi e uno di loro in particolare, il tenente Marco Jeffe, buon amico di Ettore, forzò il così detto “cordone sanitario” e si recò in ospedale per andare a trovare Viola.

Al capezzale del moribondo, il povero Jeffe non sapeva come comportarsi, gli venne quindi spontaneo chiedere come potesse essere utile, cosa potesse fare per alleviare le sofferenze del giovane amico.
Viola raccolse le ultime forze e disse: “tenente, ho la gola arsa dalla febbre e sto per morire. Le chiedo solo un ultimo desiderio, non voglio morire con la bocca asciutta, vorrei bermi un ultimo calice di buon Champagne”.

Il povero tenente rimase basito. È noto che la parola di un ardito è scolpita nella roccia, ormai il giovane tenente si era offerto di esaudire qualsiasi desiderio del suo capitano morente, non fece quindi di certo marcia indietro, anche di fronte a quell’insolita richiesta.

Con non poca fatica riuscì a trovare una buona bottiglia di Champagne e il mattino seguente era nuovamente al capezzale del suo amico con l’atteso Mumm Cordon Rouge e disse:
“Comandi capitano, un omaggio dei suoi uomini e amici”
Dopodiché presento la bottiglia avvolta alla bene e meglio in un quotidiano. Viola aprì gli occhi a malapena, raccolse le ultime forze e fece cenno al suo tenente di scartarla e di mettere bene in vista l’etichetta. Poi con un filo di voce disse:
“Mumm Cordon Rouge, ottima scelta. Si racconta che il Vate si dicesse astemio prima di assaggiare questo nettare celestiale e fu proprio lui a farmelo conoscere quando lo incontrai prima del volo che fece su Vienna. Tenente, cosa aspetta, da morto farò fatica a gustarlo, lo stappi per cortesia

“Ma…capitano, non so se…”
“Tenente, da quando in qua disobbedisce ad un mio ordine”
Il povero Jeffe non se lo fece ripetere e stappo la bottiglia con un bel botto, che fece immediatamente correre la crocerossina al capezzale di Viola. Il Capitano la vide arrivare di corsa, non si perse d’animo:
“Sorella, grazie al cielo è qui, mi procuri un buon calice per festeggiare la mia dipartita con onore

La crocerossina rimase senza parole, guardò il povero tenente in cerca di conferme. Questi annuì e alla povera donna toccò obbedire.
La donna non trovò che un gavettino, ma a Viola sembrò il sacro Graal e si scolò l’intera bottiglia in meno di un quarto d’ora dinanzi allo sguardo perplesso del povero tenente che rimase con la bocca asciutta.

Il giovane ufficiale uscì dall’ospedale da campo con una bottiglia vuota e la certezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Viola in vita, ma si sbagliò.
Due settimane più tardi, il capitano Viola completamente guarito si presentò al suo reparto per ringraziare l’incredulo tenente, pronto a giurare di trovarsi di fronte ad un’apparizione.
“tenente che c’è, ha visto un fantasma?
Il tenente non trovò parole per replicare Viola che si congedò dicendo:
“Vede tenente, la medicina francese è la migliore. Sicuramente costosa ma fa dei veri miracoli, soprattutto il Mumm Cordon Rouge.
Le devo la vita e una bottiglia di Champagne”.

Questa incredibile avventura, assieme alla sua vita di guerra, temprò quell’uomo, divenuto simbolo degli arditi del Grappa, che visse una vita ricca di emozioni e soddisfazioni fino alla sua morte avvenuta a Roma nel 1986. Mi piace ricordarlo così Ettore Viola: Lassù in paradiso, elegantemente seduto ad un tavolo, mentre sorseggia un bicchiere di ottimo Mumm Cordon Rouge con l’amico Jeffe, perché si sa…la parola di un ardito è scolpita nella pietra.

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