La voce della montagna

Quando il turista viene su da noi, di solito ha l’impressione che la montagna sia abbandonata a se stessa e che nessuno ne abbia il controllo.

Non è così.

Da sempre chi vive quassù ha imparato a rispettarsi e a rispettare regole di convivenza esemplari. Il passa parola della montagna permetteva al contrabbandiere di tabacco di sfuggire al finanziere, o al malgaro di sapere dov’era più sicuro portare le bestie al pascolo. Tutti si aiutavano e collaboravano per sopravvivere in condizioni difficili ed oggi è ancora così.

Alcuni posti di passaggio hanno sempre avuto un vero e proprio “guardiano muto”, a volte una singola persona o in altri casi una intera famiglia che risiedeva ai margini di una strada di particolare passaggio a cui era stato assegnato il tacito compito di controllare il flusso e nel caso allarmare gli abitanti, un po’ come le marmotte che sanno interpretare il fischio del guardiano in caso di pericolo.

Uno di questi punti critici si chiama “Busa de Campeja” di cui l’unica possibile traduzione italiana, o almeno quella che più si avvicina e: zona del campeggio. Attenti bene, non lasciatevi ingannare, non ha nulla a che vedere con un campeggio come lo intendiamo oggi; attrezzato, ordinato, gestito o altro, ma piuttosto una zona pianeggiante dove durante la guerra i soldati potevano piantare le tende.


La “Busa” è subito dopo Campo Solagna, quando i tornanti della montagna lasciano respiro e il terreno si fa quasi pianeggiante. Lì, dopo qualche centinaio di metri che guardano alla Valsugana, la strada scende come volesse entrare dentro alla montagna stessa. Pochi centinaia di metri e si arriva in zona “Campeja”.

Questo valico naturale, delimita da sempre il confine dell’ignoto. In tempi antichi, quando la neve cadeva copiosa, la differenza di temperatura era tale che il ghiaccio si conservava fino a primavera inoltrata, rendendo ancora più magico l’accesso al Grappa, come se “Busa de Campeja” ne fosse il portale d’accesso.
Questo limite ha fermato avventurieri, montanari e, nel primo dopoguerra la delegazione incaricata di decidere dove costruire il sacrario in memoria dei caduti della Grande Guerra.

Era una fredda mattina del 1925 quando un corteo di sfarzose auto luccicanti si fermò dinnanzi il muro di neve della Campeja. Oltre non si poteva andare. Dalla finestra della loro casera, la famiglia Todesco gli osservava. Erano da sempre loro i guardiani della Campeja e oggi stava succedendo qualcosa di strano.

Chi erano quei tipi? Cosa volevano?
Pazienza amici, questa è un'altra storia, la storia di Piero dei Lugari.

Al prossimo appuntamento!

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