La Grande Guerra di Latta, intervista allo storico Giovanni Dalle Fusine

Gli oggetti come custodi della memoria, come testimoni di un’epoca tragica in cui una semplice lattina di latta poteva fare la differenza tra la fame e la sopravvivenza, tra la vita e la morte.

Con Giovanni Dalle Fusine, scrittore, storico, fine conoscitore della Grande Guerra e autore di tantissimi libri di successo, riportiamo indietro le lancette dell’Italia ad oltre un secolo fa, quando la vita di molti giovani si svolgeva (e a volte finiva) in trincea.

Un viaggio a ritroso nella vita del fronte, dove gli oggetti di uso quotidiano - oggi catalogati come “reperti bellici” - ci raccontano, a modo loro, 4 anni di guerra aspra e cruenta (tra il 1914 ed il 1918) tra pasti consumati al buio, momenti nostalgici e soldati-artisti che, anche sotto le bombe, non persero mai la voglia di creare.

Professor Dalle Fusine, nel suo libro “La grande guerra di latta”, lei racconta la storia del primo conflitto mondiale attraverso il ritrovamento nei campi di battaglia di scatolette di latta dei soldati in trincea.

Che cosa ci raccontano questi reperti e che storie ci tramandano?

Dopo più di 100 anni dalla fine del primo conflitto mondiale ciò che è più probabile trovare, durante le passeggiate sulle zone dell’ex fronte, sono gli innumerevoli barattoli consumati dai vari eserciti belligeranti. Unitamente alle schegge di granata che affiorano tra le pietraie, ci parlano essenzialmente della dura vita in prima linea.

Pasti consumati al buio, sotto la pioggia o la neve durante le pause dalle battaglie. Tonno, alici, salumi già affettati, sottaceti e decine di altri alimenti prodotti da industrie conserviere militari e civili in 4 anni di guerra. La grafica, laddove il restauro lo consenta, ci riporta indietro nel tempo, al soldato analfabeta e, dal disegno impresso, riusciamo spesso a decifrare il contenuto della razione. In definitiva sono le uniche istantanee a colori di quel periodo. Pomodori rossi e maturi ben in mostra sulle latte la fanno da padrone, essenziale condimento alla pasta scotta che gli addetti alle cucine spedivano alle compagnie in linea. Il ritrovamento di tali reperti ci forniscono informazioni sulle diete dei militari, sui mezzi di apertura previo l’uso della baionetta, sull’industria alimentare e sulle importazioni tra nazioni alleate.

Reperti della Grande Guerra

C’è un ritrovamento che, per qualche ragione, l’ha particolarmente colpita?

Sul monte Lémerle nel 2015, Altopiano di Asiago, durante le riprese per un documentario di History Channel, il metal detector rilevó l’elmo di un soldato italiano. Sotto all’elmo trovammo il teschio di un fante. Dopo i rilievi del caso da parte delle autorità e la ricerca di finanziamenti si ottenne il nullaosta alla riesumazione. Ne seguí una accurata indagine che sfociò ad una pubblicazione (“Il soldato del Lémerle”) e ad una probabile identificazione dei resti mortali. Una esperienza unica, che comunque lascia un segno indelebile.

Quali sono, nella nostra Penisola, le aree ed i territori più ricchi di questi cimeli bellici?

Stiamo parlando del fronte della Prima guerra mondiale, quindi di 600 chilometri compresi tra le vette sopra il lago di Garda e il confine sloveno. Gli altipiani, il monte Grappa, il Carso… furono tutte zone di aspri combattimenti. Le vestigia della Grande Guerra sono sparse ovunque, magari sepolte sotto pochi centimetri di terra e foglie, o sotto a frane procurate da un secolo di slavine. Palline di shrapnel e bossoli di fucile sparati sono ovunque, basta aguzzare la vista quando si esce dai sentieri più battuti.

Schegge, cartucce, documenti… grazie a questi ritrovamenti è riuscito, in alcune occasioni, a ricostruire degli stralci di biografia e magari a ridare identità ad alcuni soldati del fronte?

Capita che sulle gavette o sui porta maschere anti gas i soldati imprimessero il proprio nome o il numero di matricola e non è raro che in questi casi si possa risalire al proprietario dell’oggetto. Purtroppo spesso questi nomi risultano trascritti sull’Albo d’Oro dei Caduti. Come nel sopracitato Soldato del Lémerle si è potuto rintracciare la famiglia del soldato Serio Giuseppe, della Brigata Trapani, originario della provincia di Lecce.

Reperti della Grande Guerra

Nel libro “La seconda vita. Preziosi cimeli della Grande Guerra” lei parla di “arte e artigianato in trincea”...

Si tratta di oggetti ricavati da ciò che il soldato aveva sottomano al fronte. Cartucce e bossoli diventavo portamatite e portapennini, pennellini e souvenirs per ricordare il periodo al fronte. Le corone di forzamento in rame si trasformavano in braccialetti e tagliacarte. I bossoli di artiglieria in elaborati portafiori. Bisogna comunque specificare che ci sono i lavori da trincea, da distinguere dalle elaborazioni commerciali di prigionieri e ditte specializzate.

C’erano dei veri e propri artisti del settore. Resta il fatto che un trench art rinvenuto con il metal detector tra le baracche dell’ex fronte ha un valore storico ben più profondo di altri “ricordini” prodotti in serie lontano dalla battaglia e da specialisti artigiani.

Quali sono i musei italiani che oggi custodiscono i cimeli bellici più interessanti?

Da vent’anni a questa parte c’è stato un proliferare di collezioni aperte al pubblico. Oltre al ben noto museo di Rovereto, ai vari musei ministeriali, molti privati ricercatori e gestori di rifugi montani hanno reso fruibile al grande pubblico di appassionati quanto incamerato in anni di ricerche.

Nel volume “I musei della Grande Guerra”, edizioni Nordpress, ho catalogato ben 100 esposizioni stabili sparse in tutta Italia. Ovviamente il nord Italia annovera dozzine di queste esposizioni.

Reperti della Grande Guerra

Nelle sue ricerche lei utilizza metaldetector?

Certo.

Praticando spesso la ricerca nella regione Veneto sono munito di autorizzazione apposita, il cosiddetto “patentino”.
Questo mi permette l’uso di un metal detector e di attrezzatura idonea alla “mera movimentazione di superficie”. Quindi è concessa la ricerca con strumenti rilevatori del metallo. Nulla a che vedere con i primi “radar” usati dai primi recuperanti.

Oggi con spese non troppo impegnative si possono acquistare validi strumenti, anche se rimane sempre fondamentale lo studio degli scenari di guerra sui documenti storici”.

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