Ettore Viola Conte di Ca Tasson

“Il mio Ettore”

Inizia sempre così i suoi racconti la contessa Palma Viola di Ca Tasson quando parla del marito. Lei, seducente maestrina siciliana, il “suo Ettore” lo incontro nel secondo dopoguerra in treno. Si sedette accanto perché in quel lungo viaggio dalla Sicilia a Roma, quel distinto signore gli dava fiducia. Palma ed Ettore iniziarono una lunga conversazione che durò decenni. Palma era giovane, Ettore un po’ meno eppure il loro amore fu sincero e duraturo.

Oggi la contessa è un arzilla ottantaduenne sempre pronta a raccontare la vita di guerra e non del marito Ettore.

Il pluridecorato Viola, poco prima della sua morte decise di donare l’intero suo medagliere al museo del Vittoriano di Roma; l’altare della patria per capirci. Fu proprio lì che il “più bel oro italiano” fu rubato per mano ignota qualche anno fa e ovviamente, mai più ritrovato ma sostituito da una copia.
Il titolo “di Ca Tasson” Viola lo meritò proprio.

Nell’omonima zona a nord del monte Grappa, Ettore aveva già combattuto a maggio del ’18, meritando il cavalierato dell’ordine militare dei Savoia con la seguente motivazione:
«Comandante di una compagnia d'assalto, preparò accuratamente e diresse con perizia una ardita azione di sorpresa contro un munitissimo saliente nemico. Sprezzante di ogni difficoltà, alla testa dei suoi uomini, nei quali aveva saputo trasfondere il suo ardente entusiasmo, superati i reticolati, si slanciava con impeto irresistibile e con coraggio mirabile nella trincea, che rapidamente e con intenso lancio di bombe a mano sconvolse annientandole il presidio.

Fatto segno di intensissimo fuoco di mitragliatrici e fucileria, e attaccato da forze superiori, dopo una lotta corpo a corpo, fu costretto a ritirarsi, riportando dei prigionieri; rimasto ferito non leggermente, si rammaricava solo di dovere abbandonare per qualche tempo il proprio reparto. Mirabile suscitatore di energie ed esempio costante di ardimento e di alto sentimento del dovere.»

Poetica descrizione, adatta alla retorica dell’epoca. Molto più affascinante la storia dei retroscena raccontate dalla moglie.
Ettore era furbo e soprattutto un ottimo osservatore. Aveva notato che tutti i giorni alle undici precise (diligenza nordica!) un paio di fanti in livrea bianca, attraversavano di soppiatto la linea nemica con una zuppiera in mano! Camerieri in trincea era sinonimo di mensa ufficiali.

Il capitano Viola ne approfittò in un azione al limite della follia, in pieno giorno contro tutti i manuali di guerra. Il risultato fu inaspettato e dirompente e lo portò all’alto onore dei Savoia.

Pochi mesi dopo ancora la zona di Ca Tasson fu protagonista nella vita di Ettore.

Siamo verso la fine della guerra, la zona è talmente intricata da non capire dove finisce la trincea italiana ed inizia quella austriaca. Viola va a controllare di persona, ma sbaglia le misure e viene catturato. Dopo un breve interrogatorio il nemico decide di mandarlo verso Feltre e quindi verso l’Austria. Ettore si finge sciancato, cammina a fatica, la scorta, a torto, lo pensa inoffensivo. Viola approfitta della leggerezza delle sentinelle e con un colpo di forza si libera e fugge.

Attraversa la linea austriaca, poi la terra di nessuno sotto i colpi sia italiani che austriaci e quando finalmente rientra nei ranghi dove lo credono morto, riparte l’assalto e Viola si trova per l’ennesima volta davanti, piomba nella trincea nemica come un falco sulla preda e la conquista. Al rientro dall’azione i suoi stessi uomini inneggiano alla medaglia che sarà d’oro:

«Comandante di una compagnia di arditi, la condusse brillantemente all'attacco di importanti posizioni. Sotto l'intenso tiro di artiglieria e di mitragliatrici avversarie. Avute ingenti perdite nella compagnia, magnifico esempio di audacia e di ardimento, con un piccolo nucleo di uomini continuò nell'attacco e giunse per primo, con soli tre dipendenti, nella posizione da occupare.

Caduti molti ufficiali di altri reparti sopraggiunti, assunse il comando di quelle truppe, e con esse e con i pochi superstiti della sua compagnia, respinse in una notte ben 11 contrattacchi nemici, sempre primo alla lotta. Rimasto solo, circondato dagli avversari e fatto prigioniero, dopo tre ore si liberò con fulmineo e violento corpo a corpo della scorta che lo accompagnava e rientrato nelle nostre linee con mirabile entusiasmo riprese immediatamente il comando di truppe, respingendo con fulgida tenacia nuovi e forti contrattacchi del nemico, incalzandolo per lungo tratto di terreno e infliggendogli gravissime perdite


— Monte Grappa 16-17 settembre 1918

Richiedi informazioni prodotto