Il Cartuccia

La scorsa volta vi ho raccontato di Mario, il recuperante che morì di guerra dieci anni dopo la fine della guerra. Oggi vi racconterò del Cartuccia.

Abbiamo capito che i recuperanti, senza detector andavano a scavare con delle pertiche che piantavano nel terreno e per il resto era solo esperienza.

Lavoravano senza sosta per giorni e quando avevano recuperato il materiale da vendere, per loro c’erano due sole possibilità:

La prima era di rivenderlo per conto proprio, ma era una cosa parecchio faticosa. Non era certo una passeggiata trasportare in pianura tutto il ferro, rame e piombo recuperato e poi bisognava trovare il compratore, trattare il prezzo, non tutti erano in grado.

La seconda era di ammassarlo al Forcelletto e aspettare l’arrivo del Cartuccia che saliva con il suo camioncino sgangherato da Seren del Grappa.

Tutti lo chiamavano Cartuccia e nessuno sapeva quale fosse realmente il suo nome di battesimo. D’aspetto il Cartuccia era non molto alto, ma molto grosso. All’osteria del pian dela cesa lo deridevano dicendo: “Il Cartuccia è più facile saltarlo a piedi pari che girarci attorno” ironizzando sul rapporto tra altezza e circonferenza vita.

Lui, il Cartuccia, non se la prendeva mai a male, anzi era fin troppo pacifico. Si fermava in osteria due volte per ogni viaggio, la prima salendo con il camion vuoto e la seconda scendendo a pieno carico. Proprio in questa seconda tappa, i ragazzi del paese lo attendevano. Sapevano che Cartuccia adorava la trippa al sugo che preparava l’Agnese all’osteria e ogni volta che si fermava a pranzo, la donna complice dei ragazzi si dilungava in articolate spiegazioni tecnico culinarie: come scegliere la trippa migliore, come lavarla, pulirla, cucinarla, condirla. Lei parlava e parlava e il Cartuccia ascoltava, forse attratto più dai grandi occhi scuri dell’Agnese che dalla ricetta della trippa al sugo. I ragazzi approfittavano di tutto quel tempo per saltare sul cassone, scegliere con cura e rubare qualche pezzo buono.

Prendi oggi, prendi domani, con i pezzi rubati al Cartuccia Giacomo acquistò il sussidiario per andare a scuola, Antonio si è comperò le scarpe e Gianni addirittura la bicicletta che gli permise di fare il commesso viaggiatore.

Qualcuno disse che Cartuccia era un allocco facile da abbindolare e che non si accorse mai di quei furti, altri come me hanno sempre pensato che Cartuccia fosse solamente un buono che aiutò Giacomo a diventare un medico, Antonio ad aprire una sua bottega e Gianni di rilevare la locanda centrale di Seren.

L’attività del Cartuccia durò fino al 1950, poi un giorno, senza alcun preavviso, il suo camioncino non arrivò più al Forcelletto dove tutti lo aspettavano. Per qualche settimana non arrivò più nessuno lassù, poi si presento un altro camion, molto più grande e moderno. Quando i recuperanti chiesero all’autista dove fosse finito il Cartuccia, lui fece spallucce.

Che fine aveva fatto in paese lo si scoprì molti anni dopo, quando un ricco signore ben vestito, con un forte accento Americano, si presentò alla locanda centrale. Chiese al locandiere se c’era qualcuno disponibile per accompagnarlo al Forcelletto. Voleva vedere dove suo padre avesse lavorato per tanti anni.

Quel signore ben vestito si chiamava John Bof, figlio di Ottone “Cartuccia” Bof. Raccontò che suo padre era emigrato in America nel secondo dopoguerra e aveva aperto un ristorante a New York dove preparava la trippa al sugo. Nel giro di qualche anno, quel piatto prelibato e sconosciuto per gli americani, lo fece arricchire al punto tale che i ristoranti divennero due, poi tre, poi quattro. Dopo la morte del padre, toccò a John gestire il gruppo di ristoranti divenuti quindici. I tempi erano cambiati e il ragazzo cambiò anche il menù, oramai la trippa al sugo aveva fatto la sua storia.

“Per curiosità – chiese Gianni, il vecchio oste che aveva conosciuto il Cartuccia e che grazie a lui aveva iniziato la sua carriera – come si chiamano i vostri ristoranti?”

John lo guardò incuriosito da quella strana domanda e rispose:

“Certamente, si chiamano “Da Agnese” mio padre mi disse che scelse quel nome perché era il nome più bello d’Italia.

Questa è la storia del Cartuccia il buono e saggio rivenditore di ferro, vi aspretto al prossimo appuntamento.

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